L’emergenza carceraria infinita

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Pubblichiamo qui di seguito una nota dell’Avv. Nicola Galati che ha analizzato e sviluppato i dati contenuti nel pre-rapporto del 2018 della associazione Antigone sullo stato della popolazione carceraria in Italia.

Dallo stesso potrete trarre interessanti spunti in ordine alla effettiva situazione della popolazione carceraria ed alla incidenza di fattori c.d. “criminogeni”. Ma soprattutto, sulla distorsione che normalmente si registra nella analisi e risoluzione del problema da parte della classe politica.

Un contributo, dunque, su cui riflettere.

Buona lettura.

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L’emergenza carceraria infinita

 

L’associazione Antigone ha pubblicato il pre-rapporto 2018 sulle condizioni di detenzione. Lettura molto utile per gli operatori del diritto ma anche per politici, governanti e legislatori che dibattono di riforma della giustizia e dell’ordinamento penitenziario.

Un primo dato interessante riguarda gli ingressi in carcere dalla libertà che sono stati 24.380 nei primi mesi dell’anno, in calo rispetto al dato del 2017; indice del calo dei reati, trend confermato dalle statistiche del Ministero dell’Interno e del Censis.

L’emergenza sicurezza di cui tanto si parla è percepita più che reale.

Ad analoga conclusione si può giungere analizzando i dati riguardanti i detenuti stranieri.

“Il tasso di detenzione degli stranieri in Italia è diminuito di oltre 2 volte negli ultimi 10 anni. I detenuti stranieri sono addirittura diminuiti in termini assoluti rispetto al 2008, quando il numero dei non italiani residenti in Italia regolarmente o irregolarmente era la metà”.

Non vi è, quindi, alcuna emergenza criminalità legata al fenomeno migratorio.

Continua a sussistere, invece, l’abuso della carcerazione preventiva: il 33,4% dei detenuti è in custodia cautelare, di cui la metà aspetta un primo provvedimento di condanna. Un terzo dei detenuti è costituito da presunti innocenti!

Aumenta il numero dei detenuti, che sono 58.759, con una crescita di 672 unità in 5 mesi. Persiste il dramma del sovraffollamento: vi sono 8.127 detenuti oltre la capienza regolamentare.

Problema che si ripresenta ormai puntualmente e che si è finora affrontato con strumenti estemporanei utili solo a ritardarne la soluzione. Ciò nonostante l’Italia sia stata condannata dalla Corte EDU nel 2013 (con la nota sentenza Torreggiani) per non aver garantito ai detenuti condizioni compatibili con il rispetto della dignità umana a causa del poco spazio disponibile e delle condizioni inumane della detenzione.

Un tentativo di porre rimedio a tale situazione di emergenza e di rendere la detenzione rispettosa dei principi costituzionali e convenzionali è stata la convocazione, da parte del precedente Ministro della Giustizia, degli Stati generali dell’esecuzione penale, dai cui lavori ha preso forma la riforma dell’ordinamento penitenziario. Riforma che, oltre a migliorare le condizioni dei detenuti, avrebbe incentivato il ricorso alle misure alternative alla detenzione.

Ma il lungo e travagliato iter della riforma, colpevolmente non approvata dal precedente Governo, non sarà portato a termine.

Il 3 agosto scadrà infatti il termine per esercitare la delega da parte dall’attuale Governo che ha già pubblicamente anticipato che non approverà la parte della riforma concernente le misure alternative alla detenzione, nonostante le proteste di gran parte dell’Accademia, della Magistratura e dell’Avvocatura, in primis l’Unione delle Camere Penali Italiane.

La motivazione addotta è la contrarietà ad un nuovo provvedimento “svuotacarceri” che minerebbe il principio della certezza della pena.

Sul punto giova richiamare le puntuali repliche del Prof. Glauco Giostra, presidente della Commissione di riforma dell’ordinamento penitenziario.

La contestata riforma non introduce alcun automatismo nella concessione delle misure alternative (se si intende questo per “svuotacerceri”) ma ne condiziona la concessione alla valutazione del magistrato. Anzi, la riforma abroga l’unica normativa “svuotacarceri” presente nel nostro ordinamento (la legge 199 del 2010).

Quanto al richiamato principio della certezza della pena, trattasi di totem strumentalizzato ed equivocato.

Si basa, infatti, sul presupposto errato per cui la detenzione carceraria sia l’unica forma di esecuzione della pena. Il considerare la pena una ed immutabile nel tempo contrasta, inoltre, con il principio costituzionale della personalizzazione della pena e del suo fine di risocializzazione.

La mancata approvazione della riforma dell’ordinamento penitenziario è una grande occasione persa per migliorare le condizioni della detenzione.

Le proposte alternative presentate dal nuovo Ministro e dalla nuova maggioranza parlamentare sembrano, infatti, ispirate da una concezione esclusivamente carcerocentrica.

Si intende risolvere il problema del sovraffollamento con la costruzione di nuove carceri. Ma tale rimedio richiede lunghi tempi di realizzazione, non potendo risolvere la crisi in atto. Inoltre, secondo le stime contenute nel pre-rapporto dell’associazione Antigone, la costruzione di un carcere costa circa 35 milioni di euro. La soluzione produrrebbe un ulteriore aggravio della spesa pubblica.

Quel che preoccupa è, quindi, l’idea alla base di tali proposte che pongono il carcere al centro del sistema penale quale unica forma possibile di pena, trascurando l’esperienza empirica per cui le misure alternative alla detenzione carceraria favoriscono il reinserimento sociale del condannato, abbattendo i tassi di recidiva (obiettivo che dovrebbe perseguire chi vuole davvero garantire la sicurezza dei cittadini)».

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