Il Direttivo della Camera Penale sulle modifiche introdotte al processo di appello

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La Camera Penale “G. Sardiello” di Reggio Calabria, manifesta tutto il proprio disappunto verso le norme introdotte dal Decreto Ristori-bis in merito alle modalità di celebrazione dei processi penali di appello.

L’art. 23 del decreto Ristori-bis pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 9.11.2020 contiene, come è noto, le nuove disposizioni in materia di svolgimento e decisione dei giudizi penali di appello, statuendo che la Corte di Appello adita proceda in Camera di Consiglio senza l’intervento della Procura Generale e dei difensori, salvo, poi, consentire, ma solo su richiesta espressa di una delle parti processuali, lo svolgimento in presenza tramite discussione orale, o ancora, salvo che l’imputato non manifesti la volontà di comparire.

Ancora una volta all’interno di un decreto avente portata e natura economica viene celato, quasi nascosto tra i meandri degli articoli diretti indistintamente alla collettività o a categorie specifiche di lavoratori, un provvedimento volto a governare, sebbene per un tempo limitato, lo svolgimento dell’attività giudiziaria, stravolgendone, per certi versi la veste e la forma.

La cartolarità nella trattazione dei processi in appello diventa norma e l’oralità l’eccezione, in una rocambolesca inversione dei principi che da sempre governano il nostro processo.

Ma vi è più.

A causa dello stato emergenziale che purtroppo tutti noi stiamo vivendo ed in parte subendo, si è arrivati a derogare persino al principio della materiale collegialità dell’organo giudicante, nel senso che, attraverso l’uso della piattaforma informatica, si rinuncia (giacchè questa è la regola introdotta), alla presenza fisica dei giudici nelle Camere di Consiglio a definizione dei procedimenti penali, prediligendo una forma differita della decisione a discapito della contestualità della stessa che dovrebbe derivare dalla confluenza delle valutazioni di ciascun componente collegiale.

Viene dunque cancellato con un colpo di penna non solo il principio di oralità e di immediatezza del processo penale ma anche quello della segretezza e della sacralità della Camera di Consiglio.

A perdere in tema di garanzie per il diritto di difesa è l’intero sistema, all’atto in cui sradica il giudice dal suo contesto naturale che è l’aula di giustizia, e lo si pone di fronte ad un pc, magari nella propria abitazione!

Il processo di appello diviene non più momento vivo di celebrazione del rito in cui il difensore attraverso l’oralità del proprio intervento ha modo di rendere vive vive e rappresentative le sterili parole che fino ad allora riposavano tra le pieghe delle fredde pagine di un appello difensivo, ma semplicemente lo sbiadito scenario di una lettura individuale e giammai corale degli atti del processo.

Viene impedita così non solo la trattazione attraverso discussione pubblica, nel duello dialettico delle parti che si dipana tra discussione difensiva e replica della Pubblica Accusa, ma, cosa per alcuni versi ancor più grave, si infrange il muro della fisicità e della presenza materiale di un Collegio che, si badi bene, non è l’insieme di tre o cinque giudici, ma è un’entità a sé che rappresenta un unicum che porta a compimento il suo iter attraverso l’emissione della pronuncia.

La camera di Consiglio a distanza diviene pertanto espressione di negazione stessa della Collegialità, anche per l’impossibilità di vederne garantita la segretezza, presidio della libertà del decidente.

Si finirebbe, come l’esperienza nelle aule ci insegna, col vanificare la coralità della decisione rimettendo di fatto la valutazione ad una unilaterale percezione del giudice relatore, unico magistrato probabilmente ad avere a disposizione materialmente il fascicolo.

Non vanno dimenticati i principi di cui la nostra Carta Costituzionale si fa baluardo e secondo cui la difesa è un diritto inviolabile che per ciò stesso va e deve essere esercitata nella sua interezza, senza limiti e senza deroghe.

Si leva dall’intera categoria un’unica voce, unanime, di protesta alle nuove disposizioni in materia di trattazione del processo di appello, e si chiede in merito un intervento legislativo immediato che possa riportare il processo penale dietro la trincea delle garanzie fondamentali, garantendo cosi una decisione che scaturisca dalla valutazione di Giudici “fisicamente” presenti in camera di Consiglio, ciò nel pieno rispetto dei principi costituzionali in materia di processo penale.

Perché non si arrivi in nome della pandemia a snaturare irrimediabilmente il processo di appello immettendo nel sistema giudiziario il virus ben più infido della burocratizzazione e cartolarità.

 


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