Collegamento a distanza codificato per i detenuti. Quale conformità a Costituzione?

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A partire dallo scorso 3 luglio è entrata in vigore in via definitiva la disposizione che prevede che, in relazione ad una determinata tipologia di reati, tutti i detenuti possono partecipare al processo soltanto in videoconferenza. E’ importante precisare che tale disposizione si applica nei confronti di tutti coloro che siano detenuti per quella tipologia di reati, anche laddove gli stessi debbano prendere parte ad un processo che nulla abbia che vedere con gli stessi.

L’entrata in vigore della norma è il risultato di un approccio normativo graduale, che tuttavia conduce ad esiti assolutamente inaccettabili.

Dapprima era previsto il meccanismo del video-collegamento solo per coloro che, in quanto detenuti, erano già stati riconosciuti, attraverso uno procedimento anche giurisdizionale, spiccatamente pericolosi: ci si riferisce, in particolar modo, ai detenuti in regime differenziato di cui all’articolo 41 bis dell’Ordinamento Penitenziario il cui status di soggetto particolarmente pericoloso era stato decretato dal Ministero a seguito di un procedimento amministrativo e poi sottoposto a controllo giurisdizionale da parte di un Tribunale di sorveglianza e, in seconda battuta, sotto profilo formale, dalla Corte di cassazione.

Era anche previsto che, in linea generale, laddove vi fossero ragioni particolari riconnesse alla particolare pericolosità di un detenuto, si potesse fare ricorso a tale procedura; ma ciò solo a condizione che tali ragioni fossero esplicitate vagliate da un giudice.

Progressivamente, poi, la legge n. 103 del 2017 (denominata “riforma Orlando”) ha previsto la entrata in vigore immediata della deroga ai meccanismi di partecipazione per tutti coloro che fossero imputati (si badi imputati, non riconosciuti tali) di reati associativi con posizione di preminenza: promotori, capi ed organizzatori.

Adesso, con un rinvio determinato solo da ragioni di carattere organizzativo, questo meccanismo è stato esteso indiscriminatamente nei confronti di tutti coloro che siano chiamati a rispondere, in virtù di un solo delitto improduttivo, di un particolare delitto.

La riforma, dunque, progressivamente, ha introdotto surrettiziamente un meccanismo presuntivo: il titolo del reato presuppone un rilievo di pericolosità e determina la scelta di una deminutio nel diritto di difesa.

Presunzione perché la scelta è legata solo ed esclusivamente alla tipologia di contestazione; e soprattutto perché tale contestazione è rimessa ad una scelta del pubblico ministero non sottoposta ad alcun vaglio preliminare, né di carattere amministrativo e men che meno di carattere giurisdizionale.

Presunzione, soprattutto, perché. anche in relazione a tali particolari tipologie di reati, vi sono soggetti più e meno pericolosi; ed operare una indiscriminata “ammucchiata” non preceduta da alcun accertamento concreto determina un vulnus ai più basilari canoni di razionalità e ragionevolezza.

Ovviamente quanto prospettato sarà oggetto di sviluppo attraverso le questioni di legittimità costituzionale che certamente verranno poste nei prossimi mesi. Con l’augurio che la Corte costituzionale possa recepire l’orientamento già manifestato in relazione ad altri casi di indiscriminata generalizzazione, dichiarando la norma illegittima proprio perché confliggente con i canoni di ragionevolezza.

Ciò che, tuttavia, si vuole segnalare già in questa fase,  è la gravissima limitazione che il diritto di difesa registra a cagione dell’entrata in vigore di questa norma.

La stessa, infatti, menoma in maniera evidente e radicale la possibilità di contatto, costante e continua, tra difensore ed  imputato; Ed ancor più la possibilità di contatto tra l’imputato ed il suo giudice. Gli effetti sono assolutamente immaginabili:  una pratica e concreta limitazione della possibilità di esplicare il proprio diritto di difesa.

In questo senso l’Unione delle Camere Penali Italiane, e lo stesso Consiglio delle Camere Penali, investiti della questione, hanno preannunciato iniziative volte non solo ad evidenziare i profili di illegittimità, ma soprattutto ad evidenziare, nel corso dei processi, le difficoltà nell’esercizio del diritto di difesa con l’avvio di meccanismi di interlocuzione con le altre parti nel processo per definire dei protocolli che consentano, in ogni caso, di realizzare una minima garanzia di interposizione tra difensore ed assistito.

In questo senso, vi daremo contezza degli sviluppi che vi saranno nel corso delle prossime settimane.


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