“AL DI QUA DI OGNI RAGIONEVOLE DUBBIO”: ESSERE È AVERE?

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Molti gli spunti di riflessione, troppi i nodi e… i dubbi rimasti ancora insoluti, all’esito dell’interessante meeting nazionale, organizzato dalla Camera Penale “Alfredo Cantafora” di Catanzaro ed ivi tenutosi il 20 e 21 gennaio uu.ss.

Numerosi gli interventi che si sono susseguiti, in relazione ad una materia dal volto (almeno) di Giano: quella delle misure di prevenzione, personali e patrimoniali, sempre più attenzionate da un Legislatore (Prof. Giovanni Fiandaca condivisibilmente dixit) in larga parte tecnicamente poco preparato e rimodellate dal diritto vivente, nazionale e d’Oltralpe.

Già, perché a fronte delle innegabili difficoltà di un apparato giudiziario ormai in apnea per la mole di lavoro da smaltire, le prospettive di riforma sono spesso in contraddizione le une con le altre.

Da un canto, v’è chi (Francesco Menditto, ora Procuratore Capo presso il Tribunale di Tivoli) ritiene che le misure di prevenzione personali debbano essere estromesse dall’area della giurisdizione; dall’altro, chi, invece (M. Vittoria De Simone, Sostituto Procuratore Nazionale presso la D.N.A.), le ritiene indispensabili, per fronteggiare soprattutto le recenti e gravissime epifanie del terrorismo internazionale. La esigenza di… prevenire siffatti fenomeni diventa sempre più stringente e necessaria, anche alla luce della… penombra legislativa di un Codice Antimafia, poco maturo, perché varato con troppa fretta.

Sul profilo patrimoniale, leggera – non già nel senso calviniano del termine – è l’idea (v. D.D.L. S. 2134, XVII Legislatura) di estendere l’art. 4 ai semplici indiziati di taluni reati contro la P.A. In tal modo, tuttavia, sottolineano tanto Nico D’Ascola (Presidente della Seconda Commissione Permanente Giustizia al Senato), quanto Gabriella Reillo (Presidente Corte d’Assise d’Appello di Catanzaro), si abbandonerebbe il modello della reiterazione ed abitualità di cui all’art. 1, con conseguente rischio di snaturamento della prevenzione patrimoniale, stante il richiamo all’art. 4 da parte dell’art. 16. Il reato di corruzione, in particolare, si può consumare anche a prescindere dalla effettiva dazione di denaro (id est: con la semplice accettazione della promessa), sicché si assoggetterebbe a regime preventivo una condotta da cui una messa in circolo di patrimonio illecito potrebbe anche non discendere. Tant’è.

Calzante è stato l’intervento di M. Vittoria De Simone, altresì, allorquando la stessa ha evidenziato il ruolo strategico di una sempre più bistrattata Agenzia Nazionale dei beni confiscati, a fronte di una gestione oggettivamente fallimentare della fase ablativa dei beni, da parte degli oberati Giudici di merito.

Fallimentare lo è stata e lo è, a tutt’oggi, davvero, perché tante sono le aziende destinate alla o già in stato di decozione.

Ma questo, lo si sa, è tipico di chi non riesce ex ante ad evitare – con una normativa oculata, puntuale, ragionevole – distorsioni sociali che solo ex post ed in maniera ciecamente rigorista tenta di reprimere.

Anche perché – ci si chiede ancora – qual è la reale funzione della misura di prevenzione? Qual è la reale entità della pericolosità sociale? Quest’ultima è da intendersi – a parere del socratico Giovanni Fiandaca – non più ante delictum, bensì ante probationem, rivelandosi in tal modo succedanea rispetto a ciò che, sul piano della responsabilità strettamente penale, non riesce ad avere una evoluzione.

Tante sono, infine, le prospettive da cui questa materia affetta da polimorfismo viene osservata nelle Aule di Giustizia.

È lì, infatti, che la Sapientia dei Magistrati giunge a compimento: il diritto è argilla nelle Loro mani e, come tale, assume la forma che gli Stessi hanno dovuto (nel rispetto di una ratio legis se ed in quanto nitida) o voluto (opportunamente e legittimamente) creare.

Anche perché, prosegue lo stesso Professore, è vero che il patromonio ha una indubbia dimensione esistenziale; ma è ugualmente vero – test of proportionality alla mano – che tale assimilazione non può essere assoluta. Non v’è, a ben riflettere, una norma di rango costituzionale – in relazione ai beni – garantista al pari di quanto l’art. 13 lo sia, relativamente alla libertà personale, di regola inviolabile.

D’altronde, proprio il garantismo (nell’accezione positiva del termine) impedisce di seguire la logica del sospetto al quadrato, pena la esaltazione del “tipo d’autore”, come correttamente rilevato anche da Beniamino Migliucci (Presidente U.C.P.I.), e l’abbandono irreversibile del modello di Stato di diritto, attualmente (?) in vigore.

A nulla servirebbe, inoltre, prospettare l’idea di un indennizzo (avallata da Antonio Balsamo, P.G. presso la Corte di Cassazione), a fronte di una ingiusta ablazione; siffatto meccanismo rischierebbe di ampliare a dismisura i margini applicativi delle misure di prevenzione, con fittizi sistemi riparatori, non dissimili (soprattutto nei risultati) rispetto a quello disciplinato dagli artt. 314 e 315 c.p.p.

L’auspicio, allora, è che ci sia una nuova presa di coscienza da parte di chi la vita e/o i beni dell’individuo può (solo ove ciò sia fair nell’an e nel quomŏdo) comprimere, perché davvero, talvolta, essere è avere… isn’t it?

 

Angela Caruso


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