E’ giunto il momento per riflettere sulla modifica della normativa in materia di misure di prevenzione?

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Riteniamo doveroso pubblicare (riportandolo pedissequamente) il documento pubblicato dalla UCPI nel quale viene dato atto della ferma presa di posizione (non solo della Avvocatura, cosa che avviene da anni, ma anche) della accademia sulla necessità di una incisiva riforma della legislazione in materia di misure di prevenzione:

«Una politica, addirittura fiera del proprio populismo penale, non ha resistito alla tentazione di approvare una riforma al codice “antimafia” che frutterà assai poco sul piano della lotta alla criminalità dei colletti bianchi, ma che certamente contribuirà ad abbassare in maniera consistente lo standard delle garanzie ed a collocare l’Italia al di fuori dei parametri indicati dalla giurisprudenza CEDU.
La limitazione del numero dei soggetti a pericolosità qualificata (oggetto di un emendamento che comunque imporrà un nuovo esame della Camera) a coloro che siano indiziati di delitti contro la pubblica amministrazione, solo se appartenenti ad associazioni a delinquere, sebbene sia volta ad attenuare la più macroscopica delle  incongruenze denunziate dall’UCPI, non soddisfa in alcun modo le esigenze di garanzia di un sistema preventivo-repressivo che resta del tutto impermeabile alle regole del giusto processo, ed al quale la Corte Europea ha inflitto di recente una durissima e severa condanna.
Al coro di giuristi, che accanto all’UCPI hanno messo a nudo le aberrazioni di una riforma che implementa le energie e rafforza la mano che  brandisce un sistema già fortemente invasivo del campo delle libertà di impresa e dei diritti di circolazione e di proprietà dei cittadini , si sono unite  le voci di Luciano Violante, del prof. Maiello, del Prof. Cassese, del Prof. Manes e del Prof. Fiandaca, il quale auspica una revisione dell’intero sistema della prevenzione, che ne renda meno vaghi e generici i presupposti applicativi, in modo che risulti conforme ai principi di civiltà giuridica.
Abbiamo sempre ritenuto che il fenomeno corruttivo si debba combattere con i mezzi della riorganizzazione, della semplificazione amministrativa e dell’efficienza e del rinnovato rigore politico, e non attraverso l’utilizzo di strumenti eccezionali, autoritari ed illiberali che incidono gravemente sui diritti dei singoli cittadini e sulla tenuta degli stessi principi democratici.
Crediamo che sia necessario, pertanto, chiedere una profonda modifica del sistema, che imponga al Giudice della prevenzione di basare la decisione su prove, e non su meri indizi o sospetti, su dichiarazioni testimoniali piuttosto che su sommarie informazioni raccolte negli uffici delle procure o della polizia giudiziaria, al di fuori di ogni contraddittorio, che insomma le misure personali e patrimoniali, che incidono in modo devastante sui diritti costituzionalmente garantiti delle persone e sulla stabilità delle situazioni economico-patrimoniali, siano assistite da quei diritti minimi che costituiscono gli architravi degli ordinamenti dei paesi civili e sono scolpiti nella Carta dei Diritti dell’Uomo».

Ci piace riportarlo perché riteniamo che sia giunto il momento di porre una seria riflessione sul tema legato al rapporto tra strumento e scopo, onde verificare se valga la pena, per il raggiungimento dello scopo prefissato, porre in così enorme pregiudizio diritti e garanzie fondamentali in ogni stato di diritto.


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